da studio maccioni | Dic 20, 2017 | Blog, Circolari 2015, Notizie in evidenza
Il “bonus mamma domani“, noto anche come bonus premio alla nascita, è stato confermato dalla Legge di Bilancio anche per il 2018. Si tratta di un contributo destinato alle donne in gravidanza e alle neomamme, introdotto nel corso del 2017, per il quale il Governo ha stanziato risorse per complessivi 1,2 miliardi relativamente al triennio 2017-2019. In pratica a decorrere dal 1º gennaio 2017 è riconosciuto un premio alla nascita o all’adozione di minore dell’importo di 800 euro. Tale premio è corrisposto dall’INPS in unica soluzione, su domanda della futura madre, al compimento del settimo mese di gravidanza oppure alla nascita o adozione o affido avvenuti nel corso del 2017 o 2018.
Il Bonus mamma domani è un premio dedicato alle donne, nello specifico a coloro che si apprestano a diventare madri, biologiche o adottive non importa, e a coloro che lo sono già e affrontano con coraggio questo felice evento. Nei prossimi capitoli analizzeremo gli ultimi dati diffusi dall’Inps, cercando di capire a quanto ammonta il premio e a chi spetta.
Bonus mamma domani 2018: di cosa si tratta
Il bonus mamma domani è in vigore dal mese di Gennaio 2017 e rappresenta un ausilio a tutte le donne che devono sostenere i costi relativi alla gravidanza, alla nascita o all’adozione di un bambino. Si tratta di un contributo una tantum che viene elargito direttamente dall’Inps e che non concorre alla formazione del reddito complessivo.
In particolare, per le neomamme e per le donne che lo saranno a breve è prevista un’indennità di 800 euro. Tale premio, come detto, è concesso in un’unica soluzione per evento ed in relazione ad ogni figlio nato, adottato o affidato. Così un parto gemellare darebbe diritto a 1.600 euro e la stessa cifra spetterebbe alla mamma che mettesse al mondo due bambini rispettivamente nel 2017 e nel 2018.
Non è tutto: questo beneficio viene concesso a tutte le donne in possesso di determinati requisiti, che tuttavia non dipendono in alcuna misura dal reddito. In pratica non è necessario rientrare in determinate soglie di reddito o richiedere l’attestazione Isee al Caf, al Patronato o direttamente all’Inps, sperando di rientrare nei limiti disposti dal Governo. Allo stesso tempo, il bonus di 800 euro non deve essere in alcun modo conteggiato nella dichiarazione dei redditi.
Bonus mamma domani: a chi spetta
Il bonus mamma domani spetta a tutte le donne che sono entrate nel 7° mese di gravidanza, oppure hanno appena partorito, o ancora stanno completando la procedura di affidamento o adozione. Più in particolare possono chiedere l’ottenimento del Bonus mamma domani:
– le donne residenti in Italia;
– le donne di cittadinanza italiana o comunitaria.
Per le donne non comunitarie è richiesto il possesso di uno dei seguenti requisiti:
– possesso dello status di rifugiato politico e protezione sussidiaria così da poter essere equiparate alle cittadine italiane per effetto dell’art. 27 del Decreto Legislativo n. 251/2007;
– possesso del permesso di soggiorno di breve durata o stagionale. Inizialmente la Circolare Inps n° 78 del 28/04/2017 aveva circoscritto la possibilità di richiedere il bonus mamma domani unicamente alle donne straniere in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo. Contro questa indicazione si sono poi espressi due Tribunali italiani (Bergamo e Milano).
Bonus mamma domani 2018: requisiti per la domanda
Affinché possano percepire l’indennità di 800 euro, le categorie di donne sopra citate devono dimostrare di possedere i requisiti determinati dalla legge. Tali requisiti altro non sono che una serie di eventi, i quali devono essere avvenuti a partire dal 1 gennaio 2017:
– aver compiuto il 7° mese di gravidanza;
– aver partorito, anche prima dell’8° mese di gravidanza;
– aver adottato un minore rispettando la procedura di adozione nazionale o internazionale (è necessario possedere la sentenza definitiva del tribunale ai sensi della legge n. 184/1983;
– aver ottenuto affidamento preadottivo nazionale o internazionale, ai sensi delle rispettive ordinanze (art.22 comma 6 legge 1840/1983 e art. 34 legge 184/1983).
Bonus mamma domani: come richiederlo
Come abbiamo anticipato, per richiedere il bonus mamma domani la donna gestante o la madre deve inoltrare la domanda direttamente all’Inps. Come al solito le procedure che l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale mette a disposizione degli utenti sono diverse:
– si può utilizzare quella telematica, nel qual caso è necessario possedere il Pin Inps Dispositivo oppure le credenziali SPID – Sistema Pubblico di Identità Digitale). Questo il percorso: www.inps.it > Servizi on line > servizi per il cittadino > autenticazione con il PIN dispositivo > domanda di prestazioni a sostegno del reddito > premio alla nascita;
– si può far ricorso al Contact center integrato, al numero verde 803.164 (numero gratuito da rete fissa) o numero 06 164.164 (numero da rete mobile con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);
– si può chiedere un sostegno ad un intermediario abilitato, ad un patronato o ad un Centro di Assistenza Fiscale (CAF).
Attenzione: la domanda per il bonus mamma domani va presentata improrogabilmente entro un anno dal verificarsi dell’evento nascita, adozione o affidamento. Per i soli eventi verificatisi dal 1 gennaio al 4 maggio 2017, il termine di un anno per la presentazione della domanda telematica decorre dal 4 maggio. Per intenderci, chi ha partorito o adottato un figlio a Febbraio 2017, avrà tempo fino al 4 Maggio 2018 per presentare la domanda.
Ricordiamo che va presentata una domanda per ogni minore, nato, adottato o affidato. Per cui in caso di parto gemellare o nel caso di affido di due minori, vanno presentate altrettante domande. Diversamente se il premio viene richiesto per l’affido di un minore, non potrà poi essere richiesto per l’adozione dello stesso. Così come se è stata già presentata la domanda in occasione del compimento del 7° mese di gravidanza, non si dovrà ripresentare la domanda al verificarsi della nascita. Se invece viene presentata la domanda al compimento del 7° mese di gravidanza e poi si verifica un parto plurimo, la richiesta andrà integrata tenendo conto del numero dei nati.
Bonus mamma domani: documentazione da allegare alla domanda
Come hai avuto modo di capire, il bonus mamma domani offre un sostegno alla genitorialità a diverse categorie di donne. Proprio in virtù di questa diversità, le richiedenti dovranno fornire una documentazione specifica, dipendentemente dalla situazione nella quale si trovano. Per dirla in parole povere, le gestanti dovranno allegare il documento x, le neomamme il documento y e così via.
Vediamo nello specifico quali sono i diversi allegati da produrre ed allegare alla domanda di accesso al beneficio.
– Donne in gravidanza: come detto è possibile presentare la domanda solo dopo il compimento del 7° mese di gravidanza. In tale circostanza la futura mamma dovrà presentare allo sportello il certificato di gravidanza in originale o in copia autentica, rilasciato dal medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale, nella quale viene specificata la presunta data del parto. Se non ci si vuole recare alla sede Inps si può spedire il tutto a mezzo raccomandata, avendo cura di inserire il certificato in una busta chiusa sulla quale sarà riportato il numero di protocollo e la dicitura “Documentazione domanda di Premio alla Nascita – certificazione medico sanitaria”.
In alternativa al certificato di gravidanza, ma esclusivamente per le future madri non lavoratrici, è possibile indicare il numero identificativo a 15 cifre di una prescrizione medica emessa da un medico del SSN o con esso convenzionato, con indicazione del codice esenzione compreso tra M31 e M42 incluso.
E se maturati i 7 mesi, la gravidanza non fosse poi portata a termine per una interruzione della stessa? In tale ipotesi la domanda sarebbe comunque acquisita dal sistema, ma andrebbe corredata della documentazione necessaria a comprovare l’evento.
– Dopo la nascita: se l’avente diritto compila la domanda per l’ottenimento del premio dopo aver partorito, può allegare alla richiesta una semplice autocertificazione, nella quale dichiarare la data del parto e le generalità del neonato, incluso il codice fiscale.
– Adozione o affidamento preadottivo: in questo specifico caso, sarebbe opportuno leggere le istruzioni diffuse dall’Inps nella circolare n.47 del 2012. Nello specifico si richiede alla neo mamma di allegare una copia del provvedimento giudiziario (sentenza definitiva di adozione o provvedimento di affidamento preadottivo) abbreviando così la tempistica utile alla definizione della domanda. Al contempo occorre che la domanda contenga tutti i riferimenti formali (sezione del tribunale, la data di deposito in cancelleria ed il relativo numero) i quali sono di ausilio all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale che deve individuarli ed analizzarli prima di disporre il premio a beneficio del genitore adottivo.
– Cittadine non comunitarie: se a presentare la domanda è una donna di cittadinanza non italiana né tantomeno comunitaria, allora sarà necessario possedere il permesso di soggiorno. Nella fattispecie le richiedenti dovranno autocertificare il possesso di tale titolo inserendone gli estremi nella domanda telematica (numero identificativo attestazione, autorità che lo ha rilasciata, data di rilascio, termine di validità). Le verifiche verranno prese in carico dall’Inps che ha accesso alle banche dati del Ministero degli Interni e di altre Amministrazioni.
Bonus mamma domani: come ricevere il premio
Come ricevere il bonus mamma domani? Si può scegliere tra:
– bonifico domiciliato
– accredito su conto corrente bancario o postale
– libretto postale
– carta prepagata con IBAN.
A tal fine è sufficiente specificare una di queste modalità sul modello di domanda. E’ importante che il mezzo di pagamento scelto, ad esempio il conto corrente o il libretto postale, sia intestato al richiedente il premio.
Se la mamma o futura mamma è minorenne o incapace di agire, la richiesta deve essere presentata dal legale rappresentante in nome e per conto dell’avente diritto. Tuttavia anche in questo caso il mezzo di pagamento che si sceglie, deve essere intestato a chi percepisce materialmente il premio, dunque al minorenne o all’incapace di agire.
Se si sceglie l’accredito su conto corrente o su carta prepagata con IBAN, è necessario presentare anche il modello di richiesta pagamento delle prestazioni a sostegno del reddito (SR163), a meno che lo stesso modello non sia già stato presentato all’INPS in occasione di altre domande. La presentazione del modello SR163 serve per verificare la corrispondenza tra l’IBAN indicato nella domanda per il bonus mamma domani e la titolarità del conto a cui l’IBAN stesso si riferisce.
Bonus mamma domani, bonus bebè e bonus nido
Il Bonus mamma domani è il tassello di un piccolo puzzle, quello relativo alle agevolazioni per il sostegno dei neonati e delle loro famiglie. Uno dei benefici di cui hai sicuramente sentito parlare è il bonus bebè, che si traduce in un assegno mensile di 80 euro per ciascun figlio nato o adottato dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017. Il bonus bebè viene riconosciuto per tre anni consecutivi, alle famiglie italiane che versano in condizioni economiche disagiate. Puoi approfondire l’argomento leggendo le modalità di richiesta nell’articolo “Bonus bebè: ecco come cambia”.
Oltre al bonus bebè ci sono altre importanti agevolazioni che le mamme possono richiedere. Ad esempio, ha riscontrato molto successo il Bonus babysitter o asilo nido che può essere richiesto dalle lavoratrici dipendenti, dalle professioniste, dalle imprenditrici o dalle lavoratrici autonome, che decidono di rinunciare al congedo parentale.
Totalmente diverso è il nuovo Bonus Nido: un beneficio di 1000 euro l’anno pensato per le famiglie che iscrivono i figli agli asili nido pubblici o privati. Come il Bonus Mamma Domani anche il Bonus Nido può essere richiesto da tutti gli aventi diritto, senza alcun limite di reddito.
Tra le misure economiche a sostegno della famiglia, va citato infine il cosiddetto Fondo Credito Nuovi Nati, uno strumento che consente ai genitori di accedere a un prestito agevolato fino a 5.000 euro da restituire in un tempo massimo di 5 anni. Il Governo ha confermato questa misura anche per l’anno in corso, tuttavia per le modalità operative si è in attesa di una circolare dell’Inps.
fonte: https://www.moduli.it/bonus-mamma-domani-confermato-per-il-2018-ma-con-una-novita-13632
da studio maccioni | Dic 4, 2017 | Blog, Circolari 2015, Notizie in evidenza
Il bonus bebè resta fermo a 80 euro al mese (160 per le famiglie più povere) nel 2018, ma si abbassa a 40 euro mensili dal 2019: si accorcia anche la sua durata, in quanto l’assegno spetterà sino al compimento di 1 anno di età del bambino e non più sino ai 3 anni: questo è quanto stabilito nella nuova legge di Bilancio.
La misura, rispetto agli anni passati, sarà dunque dimezzata e accorciata. C’è, però, una novità positiva, in quanto dal 2019 il bonus bebè sarà strutturale: spetterà, cioè, anche per gli anni a venire.
Ma facciamo subito un breve punto della situazione, per capire come funziona il bonus bebè sino al 2018 e che cosa cambia dal 2019 con la nuova legge.
Come funziona il bonus bebè 2018
L’attuale bonus bebè consiste in un contributo riconosciuto mensilmente ai genitori con figli minori di 3 anni. L’ammontare del bonus è pari a:
80 euro mensili, per ogni figlio minore di 3 anni, per le famiglie il cui Isee(l’indicatore della situazione economica della famiglia) non supera 25mila euro;
- 160 euro, per ogni figlio minore di 3 anni, per le famiglie il cui Isee (l’indicatore della situazione economica della famiglia) non supera 7mila euro.
Nel dettaglio, il bonus bebè spetta per ogni figlio nato, adottato (se minorenne) o in affido preadottivo, ai genitori che possiedono i seguenti requisiti:
- cittadinanza italiana, di uno Stato europeo o di uno Stato extraeuropeo con regolare permesso di soggiorno;
- residenza in Italia;
- convivenza con il figlio;
- nucleo familiare in possesso di un reddito ai fini Isee non superiore a 25mila euro annui, per tutta la durata dell’assegno.
L’incentivo viene corrisposto, sotto forma di assegno, a partire dal giorno di nascita o di ingresso del figlio nella famiglia (in caso di adozione o di affido preadottivo) e fino al compimento del terzo anno di età o al terzo anno dall’ingresso nel nucleo (o, se precedente, al compimento della maggiore età).
Bonus bebè 2019, che cosa cambia
Dal 2019, il Bonus bebè consisterà, come ora, in un incentivo mensile, ma sarà dimezzato come importo. In particolare:
- per le famiglie con Isee sino a 25mila euro, il bonus ammonterà a 40;
- per le famiglie con Isee sino a 7mila euro, il bonus ammonterà a 80 euro.
Inoltre, la durata del beneficio non sarà più pari a 3 anni, ma a 1: in pratica, il bonus potrà essere erogato sino al compimento del 1° anno di età del bambino.
fonte: https://www.laleggepertutti.it/185645_bonus-bebe-2018-che-cosa-cambia
da studio maccioni | Nov 15, 2017 | Blog, Curiosità, Notizie in evidenza
Cos’è
È una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.
La disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014.
Cosa finanzia
Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di:
- migliorare l’efficienza aziendale;
- modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro;
- sviluppare soluzioni di e-commerce;
- fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
- realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher.
Le agevolazioni
Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.
Come funziona
Con decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica che sarà resa disponibile in questa sezione, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda. Per l’accesso è richiesto il possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata (PEC) attiva e la sua registrazione nel Registro delle imprese.
Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.
Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), il Ministero procede al riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni concorrono al riparto, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione della domanda.
Ai fini dell’assegnazione definitiva e dell’erogazione del Voucher, l’impresa iscritta nel provvedimento cumulativo di prenotazione deve presentare, entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese e sempre tramite l’apposita procedura informatica, la richiesta di erogazione, allegando, tra l’altro, i titoli di spesa.
Dopo aver effettuato le verifiche istruttorie previste, il Ministero determina con proprio provvedimento l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.
Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/voucher-digitalizzazione#comefunziona
da studio maccioni | Nov 10, 2017 | Blog, Curiosità, Notizie in evidenza
L’istituto della certificazione dei contratti di lavoro è sorto con il Decreto Legislativo 276 del 2003, con l’obiettivo di ridurre il contenzioso in materia, attraverso una sorta di sigillatura del contratto stesso, da cui possa emergere, in modo chiaro ed inequivocabile, la qualificazione del rapporto di lavoro.
Attraverso il procedimento che porta alla la certificazione dei contratti di lavoro, le parti, Datore di lavoro e Prestatore, si impegnano volontariamente e reciprocamente, per tutelarsi, nel rispetto della normativa giuslavoristica, fiscale, retributiva, previdenziale ed assistenziale.
La certificazione dei contratti di lavoro, un po’ di storia
La legge Biagi fornisce un’esaustiva linea guida, in merito alla la certificazione dei contratti di lavoro, dall’articolo 71 all’articolo 81 (D. Lgs. 276/2003). La legge spiega il fine e la portata dell’istituto, gli ambiti di applicabilità, gli attori e le ricadute verso terzi: Nel corso degli anni, a seguito di problematiche sorte, la giurisprudenza è intervenuta per sanare talune lacune, innovando i succitati articoli, attraverso l’articolo 30, del Collegato Lavoro, legge 183 del 2010.
Ne deriva così una nuova concezione di contratto certificato che, dall’originaria accezione di determinazione della natura del rapporto di lavoro, si orienta verso la determinazione della genuinità della qualificazione stessa, perseguendo sempre l’originario obiettivo della riduzione dei contenziosi in merito.
Certificazione dei contratti di lavoro, ambito di applicazione
L’articolo 75, della normativa Biagi, indica come campo di applicabilità: ovunque sia dedotta, direttamente od indirettamente, una prestazione di lavoro. Si desume quindi che, sia possibile estendere la certificazione anche al contratto di apprendistato, ad esempio. Questo per la garanzia dell’effettiva formazione dovuta o, a sostegno di un’eventuale clausola compromissoria, a previsione di risarcimento dei costi di formazione, in caso di recesso del prestatore, al termine della formazione stessa.
Medesima applicabilità è quindi possibile per il lavoro accessorio, per il contratto in partecipazione e soprattutto nell’appalto. In questa fattispecie, prevista dell’articolo 1665 del codice civile, certificare il contratto, come dichiarato all’articolo 84 della legge 276 del 2003, porrebbe una garanzia nelle fasi di attuazione del contratto stesso. Ai fini prudenziali e, nell’ottica della responsabilità solidale, disporrebbe anche una corretta distinzione tra appalto genuino e somministrazione di manodopera.
Un ulteriore ambito di applicazione, riguarda i procedimenti di transazione e rinuncia, per avvalorare la volontà delle parti e la clausola definitiva del nulla a pretendere, come disposto dall’articolo 2113 del codice civile.
Tipologia delle clausole certificabili
La certificazione del contratto, sempre dal punto di vista del contenuto specifico che, si desideri sancire, può comprendere, nel rispetto delle normative contrattuali vigenti, clausole tipiche. Norme come l’assorbimento del superminimo, riferimenti all’orario di lavoro, deferimento del periodo di ferie, condizioni di miglior favore nei confronti del dipendente ed i cosiddetti, trattamenti economici individuali per i dirigenti.
L’articolo 30 della legge 138 del 2010 ha poi ulteriormente esteso la tipologia delle clausole, come la tipizzazione della risoluzione del rapporto per giusta causa, determinata da appropriazione di denaro o beni aziendali o, per giustificato motivo soggettivo, addotto per un comportamento in forte contrasto con le linee guida aziendali o inerte, rispetto a scadenze amministrative di legge, come ad esempio la compilazione del libro unico del lavoro, il mancato invio del flusso Uniemens o, dei versamenti Iva. Le parti possono infine certificare che il contratto, preveda come clausola compromissoria, in caso dell’insorgenza di controversie tra le stesse, il ricorso all’istituto dell’arbitrato.
Come certificare il contratto di lavoro
L’iter di come si debba procedere, è spiegato con chiarezza agli articoli 76 e 77 della Legge Biagi, indicando che le parti, di comune accordo, debbano necessariamente rivolgersi alle commissioni istituite presso gli organi di certificazione indicati, nel territorio ove sia impiegato il prestatore.
Il ventaglio di scelta è piuttosto ampio: dalle commissioni presso gli Enti Bilaterali, istituite dai rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, alle commissioni, formate da docenti di diritto, presso atenei e fondazioni universitarie, iscritte ad apposito albo presso il Ministero del Lavoro, ed ancora, le commissioni presso la Direzione Provinciale del Lavoro o presso gli Ordini Provinciali dei Consulenti del lavoro.
Nel caso in cui, il datore di lavoro operasse su due o più province, dovrà allora, rivolgersi direttamente al Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, con successiva ratifica da parte della Direzione Provinciale del lavoro.
Dette commissioni devono operare secondo i principi della buona pratica, in realtà ancora oggi non ben chiariti, ed hanno il compito primario di fornire, attraverso il procedimento amministrativo, una valutazione tecnica e giuridica della qualificazione del rapporto di lavoro. La commissione potrà rigettare la certificazione di un contratto, ritenendola non conforme, ma invitando le parti a presentare una nuova istanza, basandosi su presupposti differenti, fornendo quindi anche una consulenza preventiva, ad esempio su come debba essere redatto il contratto.
Una volta operata la scelta, le parti dovranno contestualmente depositare l’istanza in bollo, allegando il contratto oggetto della certificazione, presso la Direzione Provinciale del lavoro che, a sua volta, ne darà notizia alle autorità interessate che potranno esprimere commenti e motivazioni.
Entro trenta giorni dal deposito dell’istanza, constatata l’autonomia e la volontà delle parti, il procedimento deve concludersi, con la redazione di un verbale, comprensivo delle discussioni che, con il contratto certificato, dovrà essere conservato per almeno cinque anni.
Valutazione della produzione degli effetti del contratto
Per la valutazione della produzione degli effetti del contratto, è necessario distinguere tra contratti nuovi, certificati dall’origine, che, producono i loro effetti dal momento del deposito presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ed i contratti già in essere e certificati in seguito. In questo caso, la commissione ha il compito di accertare che nel periodo precedente, il contratto abbia avuto esecuzione, secondo i dettami poi oggetto di certificazione, attribuendo pertanto, un valore retroattivo dei suoi effetti.
Questa pratica appare piuttosto complessa e la stessa giurisprudenza stessa, mostra posizioni in disaccordo: la commissione infatti, dovrebbe procedere ad indagini conoscitive, ma non è chiaro sin dove possa spingersi, basterebbero quindi solo le testimonianze delle parti in causa, o si potrebbero sentire terzi, come testimoni? Inoltre il tempo speso per effettuare queste verifiche, comporterebbe un lavoro sincopato, alla ricerca della prova provata che, potrebbe incidere nell’economia temporale in debba esaurirsi la procedura.
Di contraltare, emerge un’ulteriore questione che verte sul rapporto precedente alla certificazione che, senza effetto retroattivo, rimarrebbe per così dire, scoperto.
Se certificare un contratto, significa avvalorarne genuinamente il contenuto, ciò non lo esime da controlli, come ad esempio, in materia di applicazione di normative sulla salute e sicurezza dei lavoratori, come disposto dal testo unico 81 del 2008, ma nemmeno da una possibile impugnazione da parte di terzi, da intendersi come tutti coloro che ne subiscano i riflessi, comprese le Pubbliche Amministrazioni, l’Inail, l’Inps e la Guardia di Finanza.
Ricorso avverso al contratto certificato
Avverso al contratto certificato, è possibile il ricorso seguendo due strade, in base alle motivazioni addotte, come indicate allo stesso articolo 80 della relativa normativa, sia da parte sia del datore di lavoro che del lavoratore, ma anche di eventuali terzi che ne abbiano interesse diretto.
L’articolo 413 del codice di procedura civile, consente il ricorso all’autorità giudiziaria, per motivazioni specifiche, quali, l’erronea qualificazione del contratto, con effetti retroattivi alle origini dell’accordo o, per la difformità tra quanto certificato e quanto in realtà poi attuato, con effetti dall’accertamento della difformità.
Ma in questo caso, a meno che, non si palesino evidenti e provati fatti, rimarrebbe l’onere della prova. Si aggiungono i vizi di consenso, motivazione su cui la dottrina ha dibattuto a lungo, innanzitutto per il requisito di volontarietà con cui le parti adivengono alla certificazione dei contratti di lavoro, accertato dalla Commissione ed inserito nel verbale. Risulta così di non facile attuazione, provare un consenso carpito, a meno che non si sottintenda anche un profilo penale di dolo e corruzione, o di incapacità di intendere e volere non compresa dalla commissione all’atto dell’audizione.
Ricorso al TAR
E’ possibile invece, ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale, ove si constati la violazione nel procedimento, con invalidazione del procedimento di certificazione del contratto o, dove si ravvisi un eccesso di potere. In questo modo, si porrebbe ancora in discussione l’operato della commissione, identificando l’eccesso di potere, come ingerenza di ultra competenza, quindi in contrasto con le buone pratiche.
In base al tipo di ricorso, si avranno differenti effetti sul contratto; se infatti, ricorrendo al Tribunale Amministrativo Regionale, la sentenza si riverbera solo sull’atto di certificazione e non sul contratto, nel caso di ricorso al giudice, opera una sorta di impermeabilizzazione della qualifica del contratto.
Ricorso alla commissione certificatrice
Il ricorrente, prima di adire alle vie ordinarie, dovrà rivolgersi, a norma dell’articolo 410 del codice di procedura civile, alla stessa commissione che abbia concesso la certificazione dei contratti di lavoro, per avviare la procedura di conciliazione.
Nel caso di fallita conciliazione, gli interessati devono agire, perseguendo l’obiettivo di mutare la qualificazione del contratto certificato, sulla scorta dell’articolo 79 della legge 276 del 2003, facendo atto di opposizione, ma solo a seguito di invalidazione giudiziale, vale a dire, che il contratto certificato, rimane protetto, sino a che il giudice ne dichiari invalida la qualificazione; solo allora sarà possibile agire, su un nuovo contratto, diverso, spogliato dalla tutela certificativa.
Anche la Pubblica Amministrazione pertanto, subirà il limite posto dal citato articolo 79, dovendo agire prima, per mutare il contratto e solo, in seguito, potrà applicare controlli, accertamenti e sanzioni, laddove naturalmente, non si rendessero necessari provvedimenti con carattere di urgenza.
Riflettendo infine, sull’opportunità, costi e benefici del ricorso alle certificazioni dei contratti di lavoro, occorre fare un’analisi funzionale del risultato che questa sorta di paracadute, comporti per le parti.
Se si tratti di una consolidata prassi aziendale o, se venga applicata solo a talune categorie di lavoratori e quali sarebbero le eventuali conseguenze sul rapporto di lavoro, date dalla non volontà di aderire all’istituto da una delle parti.
Nella pratica, il ricorso alla certificazione dei contratti di lavoro si rivelerà utile e cautelativo, per l’inserimento di clausole speciali che abbiano genesi dalla contrattazione territoriale. Fondamentale, per eludere i possibili dubbi su un’interposizione illecita di manodopera, come citato, nel contratto di appalto, ma il ricorso risulta decisamente superfluo, qualora si riproducesse la formula prevista dalla contrattazione collettiva nazionale.
Fonte: https://www.lavoroediritti.com/abclavoro/certificazione-dei-contratti-di-lavoro-come-funziona#ixzz4xe7U91X5
da studio maccioni | Ott 24, 2017 | Blog, Circolari 2015, Curiosità, Notizie in evidenza
Con la recente Ordinanza n. 21669 del 19 settembre 2017, la Corte di Cassazione ha chiarito che la partecipazione personale e abituale all’attività operativa aziendale costituisce l’elemento essenziale che integra l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale commercianti del socio amministratore di società commerciali.
FATTO
L’Inps ha contestato la mancata iscrizione alla gestione commercianti e, quindi, il mancato pagamento dei contributi, al socio amministratore di due società a responsabilità limitata che svolgono attività commerciale.
In relazione alla controversia, la Corte d’Appello ha riconosciuto l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti del socio amministratore, ritenendo che i presupposti richiesti per la sussistenza di tale obbligo fossero integrati dalla titolarità dell’impresa commerciale (quale socio amministratore) e dallo svolgimento di attività amministrative, senza alcuna rilevanza esimente della circostanza che tali attività venivano svolte con carattere sporadico.
DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Riformando la decisione del giudice d’appello, la Corte di Cassazione ha chiarito che ai fini dell’iscrizione alla gestione commercianti del socio di società commerciali, è necessario che il socio stesso partecipi “personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.
Nel caso del socio amministratore, quindi, affinché siano integrati i presupposti per l’obbligo di iscrizione, non è sufficiente l’esercizio di un’attività di natura amministrativa e nemmeno di un’attività sporadica, essendo invece necessaria una partecipazione rilevante, in termini di tempo e di reddito, alla stessa attività operativa aziendale. A tal fine, peraltro, la partecipazione all’attività operativa aziendale va intesa in senso relativo e soggettivo, ossia avuto riguardo alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l’oggetto sociale dell’impresa commerciale (al netto dell’attività esercitata in quanto amministratore), e non già in senso comparativo, con riferimento a tutti gli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa.
In conclusione, se l’attività svolta dal socio amministratore di società commerciale è di natura esclusivamente amministrativa (consistente, come nel caso di specie, in verifiche periodiche ai negozi e nella raccolta delle bolle), oltretutto effettuata in modo saltuario, deve ritenersi escluso l’obbligo di contribuzione alla gestione commercianti.
fonte: RSS TELECONSUL EDITORE S.P.A.